|
|
 |
|
|
 |
|
2003 |
 |
|
Una croce di luce.
La grande Croce di Marisa Settembrini, dal titolo “In principio era il Verbo” è composta da 265 tessere in forma quadrata per un totale di 300 per 300 cm e dipinte secondo uno stile caro da tempo all’artista milanese, in cui la pittura di stampo informale lascia cogliere inserti, icone, reperti, ove la parola e l’immagine fanno vivere la Croce non come simbolo di dolore ma occasione di paradiso, di resurrezione, di luce.
Capolavoro di grande modernità questa Croce della Settembrini, precedentemente esposta in Milano nella Chiesa di San Carlo al Corso. La Settembrini è figura di tutto rispetto dell’arte non solo italiana ma europea, di lei hanno già scritto gli storici più illustri, da Argan a Carluccio, e il suo lavoro è sorprendentemente carico di scritture e segni divini, di ritmi e di strutture, di partiture e archetipi, di cifre e confessioni.
Carlo Franza
“In principio era il Verbo” è un’opera moderna fatta di tanti piccoli frammenti, che raccontano la storia del mondo attraverso il colore, le pagine di libri diversi, i ritagli fotografici sistemati su piccole tavolette dipinte a tecnica mista con materiali acrilici, che costituiscono la materia di base di questo percorso all’interno dell’uomo, della sua vita, della sua materialità e della sua spiritualità.
Il colore a spatola che si distribuisce sulla superficie dei tasselli serve a sottolineare il singolare abbinamento di pittura e scrittura per rivisitare la storia del mondo in un modo del tutto originale e personalissimo.
Anche nella grande Croce traspare tutta la vitalità artistica di questa pittrice capace di cogliere tante sfumature diverse dell’animo e della cultura umana, in un misto di poesia, letteratura, filosofia, mito, storia.
Domenica Calza
Pittrice che appartiene, più di altri, al nostro tempo ed alle sue istanze. Compreso quelle religiose, spesso poco incluse nel panorama odierno. La sua presenza risulta assai incisiva, sin dal 1976, in una delle Quadriennali di Roma, quella dedicata alla “Nuova figurazione”, la Settembrini è attentissima a tecniche assai sofisticate in particolare nel campo della grafica. Non va dimenticato per noi che fu premiata a Bormio nel 1996. E nemmeno la sua presenza a Cremona con due artisti assai cari alla nostra memoria: Tadini e Adami. Molti storici e critici d’arte si sono interessati alla sua opera da Argan a Carluccio a Russoli, a Valsecchi. La stretta correlazione tra letteratura, mito, teologia e le opere della Settembrini è stata ben descritta dal critico Carlo Franza.
Carlo Mola
Marisa Settembrini, scenari del tempo.
Rivelatasi negli anni Settanta, soprattutto per la straordinaria qualità dei suoi ritratti, ha via via affinato la sua ricerca artistica, abbandonando progressivamente, e forse solo apparentemente, l’immagine semplicemente dipinta e ritratta.
Gpi |
2002 |
 |
|
Dai miti allo splendore della parola.
Nell’interpretazione di Marisa Settembrini il mito è il punto focale del suo fare arte. Principio ed epilogo della natura umana. Luogo in cui trovare il già avvenuto e il possibile, il passato e il futuro. Si snoda attraverso le opere e si ritrova nell’allusività del verso poetico che esprime, ma non definisce, che racconta, ma non si esaurisce nella parola.
Perché il linguaggio è guida, fonte d’ispirazione e compagno di un significato profondo che si avvale del segno, del colore, di ritagli di giornale incollati alla tela, uniti insieme a rendere la complessità del senso.
Talvolta il colore vince sul segno, invadendo la tela con forza virile ad esprimere l’intensità del sentimento aperto come su un baratro che non lascia scampo. Colori scuri e neri drastici, viola intensi e spessi di strati accumulati uno sull’altro.
Altre volte le tele si fanno delicate, bianche e regolari; i colori pastello si abbinano a frasi sospese, spesso tratte dai testi sacri, ad accompagnare un messaggio, sempre diverso, che sembra emergere dal tempo per indurci ad una riflessione sull’uomo, sulla sua storia, sul tempo. Il senso dell’uomo è l’oggetto della ricerca interiore ed artistica della pittrice, un senso che l’occhio e l’animo dell’osservatore possono solo percepire.
Francesca Della Monica
Gli sguardi, la fissità, un certo espressionismo informale, il cifrante luogo di un mondo divenuto cielo, ombra, soglia e frontiera insieme, tutto è passaggio di un crocevia linguistico, ove la Parola, la lettera, un alfabeto si colora di poesia, si ossifica fino all’occasione nelle opere della Settembrini. Si va oltre il clima concettuale degli anni Sessanta, quando altri artisti come Kosuth, Weiner, Boetti, Merz, Calzolari e Beuys fecero uso del linguaggio verbale. La Marisa Settembrini affida la sua poetica e la sua cultura, ma anche la sua astratta verità a un evento, ove si iscrivono le ragioni di questa pittura che è gesto linguistico ma anche simbolo. La cifra più inedita della pittura della Settembrini è una parola smaterializzata, colorata, come appena nata in un mondo che si dilata.
E’ una parola che giunge dal profondo e aggalla come zattera in un mare o come aquilone in un cielo azzurro, divenendo frammento di poesia quotidiana. Il fascino di questa grafia, di queste frasi infinite come amo chiamarle, che accendono l’espressione verbale in un movimento dal basso in alto e viceversa, sono la punta disarmante di un nuovo artistico che all’orizzonte si affaccia, divenendo centro, luogo, apostrofe colorata di una nominazione che come nuvola viaggia in uno spazio di rara bellezza, e vive di interiore ricordo.
Carlo Franza |
2001 |
 |
|
Sette stanze un giardino.
Marisa Settembrini presenta opere pittoriche dove l’immagine mantiene un carattere fortemente classicheggiante nella riedizione delle icone del nostro tempo, ovvero nel linguaggio pittorialista che contorna le figure fino a sfrangiare in quel gioco di segni e di macchie la materia e il colore che ritrova la solitudine di un microcosmo. Una lettura privilegiata che a tratti “anacronistica” si argomenta nuova, citata, contaminata, e muove a un sentimento sia di eroico spaesamento, che di assoluta contemplazione.
Carlo Franza
Opere come “linea di luna nuova, nell’amore, incoronata”, lasciano evidenziare questo lavoro di consonanza, spesse volte articolato in una serie di tele, talune grandi altre più piccole, ma tutte cariche di poesia. La struttura compositiva di questi dipinti ove segno e disegno, ma anche scrittura e colore, ci offrono, come osserva il Prof. Andrea Del Guercio, soluzioni di unità estetica tralasciano, però, la proiezione personale di volti e corpi, o almeno di parti del corpo che qui rivelano quella grande lezione a suo tempo acquisita e mai dimenticata, ovvero la scuola di ritrattistica fatta alla Kunst Akademie di Monaco di Baviera.
Si capirà allora come accademia e nuovo oggi convivano in una sorta di modernità in queste tele e lavori recenti della Settembrini che si pone fra le pittrici europee più in vista e più ricercate per la novità, per la cultura, per la dialettica di questa pittura.
Parole, alfabeti, calligrafie sono una parte che ruota attorno alle macchie di colore, ma anche alle immagini-collage, come nella “serie de l’angelo”. Fra scrittura, iconografia e colore c’è tutto il mondo, o meglio il racconto a più voci, un racconto sempre nuovo e totalmente vissuto.
Carlo Franza
L’Incoronata, casa del verbo.
“Un segno è una cosa che richiama alla mente qualche altra cosa”: così sant’Agostino, nel “De doctrina Christiana”, traccia concisamente una nozione di segno valida, oggi più che mai, per capire, ad esempio, la morfologia della pittura contemporanea, soprattutto quella cosiddetta informale, basata sulle potenzialità espressive della materia e del colore, affrancati da vincoli raffigurativi. Non c’è dubbio che tale poetica concerna anche l’attività pittorica di Marisa Settembrini, artista che fa sapientemente convivere nel campo della tela la fissità dell’immagine – o meglio lacerti, spezzoni e memorie di immagini – con la mobilità lieve, suggestiva ed evocativa del segno che aggalla ondivago e ripetuto alla superficie cromatica insieme alle grafie, aforismi filosofici e brevissimi testi poetici vergati dalla mano dell’artista. Il tutto, però, governato da una sottile musicalità che è spirituale, oltre che sensuale e visiva.
Non a caso la Settembrini ha voluto battezzare questi suoi raffinati “accrochages” di tele da parete dedicate all’Incoronata col denominatore comune di “consonanze”, termine che ben traduce quei rapporti di reciproca armonizzazione che legano le singole parti, talora sagomate, con l’assieme della composizione. Lo stesso bellissimo titolo collettivo (“Linea di luna nuova, nell’amore, incoronata”) suggerisce le tre “qualità” peculiari di Maria, associata alla Luna come nel testo giovanneo dell’Apocalisse, ripreso da tante miniature medievali e stampe rinascimentali, all’amore e, soprattutto, incoronata, perché eletta a dimora del “Logos”.
La Settembrini tralascia la via canonica di una rappresentazione antropomorfica della Vergine per affidarne l’evocazione emozionale a liberi frammenti di parole dipinte nell’essenzialità del bianco e del nero, che ne suggeriscono appunto la qualità di capanna carnale del Verbo, quel Verbo che è garante della serena intellegibilità di ogni cosa, anche degli stessi frammenti. La Settembrini sembra qui volerci trasmettere, in presa diretta, la vibrazione e l’iridescenza poetica che, biblicamente, il nome stesso di Maria accende nella sua interiorità, restituendoci quella fluidità di accesso e di percorso tra la forma e la vita, quel continuum tra la pittura e l’essere, quella “nostalgia dell’origine” che il poeta Roberto Senesi ha giustamente identificato come il suo tratto singolare.
Domenico Montalto |
1998 |
 |
|
Un collage, un’immagine strappata, un decollage che non rammenta la posizione di Rotella o di altri nomi della pittura italiana e straniera, ma una finestra antica nel presente, un calco di sottile lirismo, una quotata cultura che innesta l’apparato visivo fra nubi di colori, segni e tracce visibili. Era dunque, e lo è oggi, ancora, questa ricerca pittorica della Settembrini una sottile e inventiva campionatura, che ha abbandonato solo apparentemente l’immagine dipinta e ritratta, per ristabilire quel “chiasmage” che già Kolar e prima di lui i poeti visivi e gli stessi futuristi e dada berlinesi, usarono.
Ma l’incantevole nuvola di colore e materia che circonda queste icone del Duemila, frammentata a segni, a segmenti e in quest’ultimo periodo a un mondo geometrico di quadrati, triangoli e lunette, mette ancora una volta in luce l’anima sottile e misteriosa che sovrasta ogni cosa, ne assegna il profilo, ne ristabilisce l’aura.
Carlo Franza |
1995 |
 |
|
Vento del Paradiso.
Il Paradiso è il giardino perduto a cui tutti noi aneliamo, consapevoli o ignari che si sia. Queste opere realizzate con un’inusuale tecnica mista sembrano alludere proprio a scene che si svolgono nel giardino, oltre il tempo e la storia. La ripresa di miniature che si fanno intravvedere quasi in finestre aperte su di una superficie mossa e piacevolmente materica; i “nastri” che rinserrano con figure geometriche i bordi lasciando immaginare un retro non conoscibile; le mezzelune presenti in molte di queste opere come un motivo conduttore, tutti sono elementi di un’indagine, di un invito alla lettura di queste opere.
Non bisogna però fermarsi alla soglia della piacevolezza, invero assai forte, per comprendere ed apprezzare l’acuta e sensibile indagine che Marisa Settembrini ha compiuto. Oltre le dimensioni, oltre le forme dei differenti pannelli (come non ricordare le lunette di molte delle nostre chiese più antiche) il lavoro di queste opere è di una rara intensità.
La serietà di una tale ricerca è sicuramente motivo ben più valido che la totale congruità tra ricerca iconografica e spazio espositivo.
Carlo Capponi
L’intuizione felice, e quanto mai coraggiosa, di Marisa Settembrini nasce dalla paziente, appassionata rilettura del capolavoro di un genio dal talento inarrivabile: il “Paradiso” di Dante Alighieri, al quale la pittrice ha accostato, con raffinata sensibilità artistica, la “citazione” delle miniature di Giovanni di Paolo.
L’incontro tra pittura e scrittura si è verificato diverse volte nella Storia dell’Arte, laddove gli artisti hanno saputo disvelare l’intima alleanza tra immagine e segno linguistico. Ebbene, nei lavori di questa pittrice di fama internazionale, i due elementi si affiancano, coesistono con assoluta naturalezza, per dar vita ad una manifestazione estetica affascinante nella sua armoniosa organicità e nella pregnanza di risonanze metafisiche.
Gli acrilici acquerellati stesi sulla pasta d’affresco, che “muove” gioiosamente le superfici, si presentano spesso nelle medesime tonalità cromatiche che compongono le miniature: ed è in questo gioco di raffinate corrispondenze che si ravvisa la finezza critica e la mirabile capacità di sintesi di un’artista che ha saputo schiudere una “finestra” sulla nostra tradizione artistica e culturale più accreditata, conservando tutta la propria libertà inventiva.
L’opera di Marisa Settembrini, che non è scevra da un certo raffinato intellettualismo, è, dunque, tanto più apprezzabile se la si considera nel suo aspetto di “sfida” al mondo contemporaneo, così lontano, anche nell’ambito artistico, dai temi e dai messaggi di Chi, sospinto da un inesausto anelito morale, narrò del suo “trasumanare” nella sfera delle Realtà Eterne.
Maria Giulia Guelfi
Paesaggi interiori.
“S’albera il vuoto”, dice di sé intitolandosi un piccolo paesaggio di biacche dense su densi azzurri-viola che mimano forre e montagne. E’ uno dei casi che con più precisione descrittiva lasciano intendere il luogo. Che può essere, altrove, mare o pianura, acque o terre. Ma in altri casi, ancora, la topografia si allarga, si sconfina, e del “soggetto” rimane un’impronta leggera. Segni di nuvole forse, tratti, scritture senza codice, serpentine, rèfoli d’erbe o vento che trascina con sé, di notte, minuscoli segnali di luce. Si può ritrarre l’insostanziale con questa rapidità del passaggio di un segno, di una macchia, e tuttavia la struttura d’insieme non si perde.
Quelli che erano ritratti, ora tratti o tratteggi fantasmatici, tornano come indizi. Il “collage” è il mezzo dell’apparizione. O della citazione. Abitano quegli spazi insostanziali e però vertiginosi nell’impazienza dei segni, abitano quelle memorie di un paesaggio interiore riportato in luce; anche le ragioni lontane di questo prendere appunti su una natura che sembra letta con lo strumento del “come disperso dappertutto” e del “come raccolto insieme”.
Attilio Pizzigoni |
1992 |
 |
|
Album di memorie.
Colori, macchie, segni, antichi simulacri, lacerti di immagini; sospesa nel valore mutevole della luce che incombe tra gialli, biacche, azzurri e viola, rossi e toni macerati, sicché la pittura ormai vive d’una febbre interna ma si pone anche come elegiaca, poetica, contemplativa. Il flusso di questo colore si concerta per zone, tagliando la tela anche in scomparti, s’addensa e si degrada man mano, e si perde quasi sempre nell’emozione dei segni, dei mezzi espressivi, dello “schauen”, del guardare, di forze emotive in misterioso invito. In uno sguardo amplissimo ecco le memorie, lente riaffiorano e si depositano, sono le memorie del suo Salento, della terra che gli vive nel cuore, costruita oggi nell’architettura del cielo e del mare, di un universo totale.
Sono un album di ricordi vivissimi, di opere racchiuse in un tempo psicologico ed interiore dove il dato mentale acquista la liberissima variazione di uno schema metrico.
Segrete pieghe di colore tirate in un gesto astratto informale che non disdegna l’anima figurale pure in esse calate, un diario a più voci, a più suoni, una dottrina pittorica squadernata su una materia tanto più ricca quanto più bella.
Carlo Franza |
1991 |
 |
|
Cinquanta ritratti di protagonisti della vita cittadina.
Wanda Osiris, dalla sensualità carnale e spumeggiante. Ernesto Treccani, invece sobrio e malinconico. E ancora, Indro Montanelli, lo scultore Mantovani, i pittori Kodra e Brindisi, Roberto Sanesi, Ernesto Calindri…Sono molti i lineamenti – reali, eppure trasfigurati e “riletti” a seconda della sensibilità e dell’estro creativo del momento – accarezzati dai pennelli della pittrice Marisa Settembrini, trentasei anni.
Nata in Puglia, oggi titolare della cattedra di figura al III Liceo Artistico di Milano, dotata di un temperamento che è timido e caparbio al tempo stesso, la giovane autrice ha saputo regalare a tutti i “milanesi” quel particolare guizzo che fa di un semplice ritratto la trascrizione libera ma non arbitraria di un personaggio, di uno stato d’animo, di un atteggiamento che può essere sì sociale ma che è, prima di tutto, morale e mentale. Minimo comune denominatore che colleghi i diversi milanesi di questa ideale quadreria? C’è. Tra giovani e anziani, tra celebri e sconosciuti, tra donne e uomini e bambini, il fil rouge è il rapporto di simpatia che li lega all’autrice e il loro essere in qualche modo quasi sempre legati al mondo dell’arte e del giornalismo.
Elisabetta Muritti
Quello che più sorprende la critica, che da anni segue attentamente la vicenda artistica di Marisa Settembrini, è il suo spaziare dal figurativo all’informale. Scrive giustamente J. Pierre Juvet che l’artista “non si è rifugiata entro i comodi limiti di un qualsiasi magistero”. Infatti, nel visionare, attraverso quadri e foto, quasi tutta l’attività creativa di questa pittrice, vi è la conferma che la Settembrini riesce a fondere le varie tendenze artistiche, almeno come in genere viene codificata l’arte del dipingere, (astratto, figurativo, espressionista, ecc.) facendoci capire, se ve ne fosse stato bisogno, che ogni vero artista deve dipingere con il cuore e non secondo dei “programmi”.
Marisa Settembrini dipinge ciò che più ama, nel modo che più sente creativamente nel momento del suo avvicinarsi alla tela.
E’ sempre “guidata” da quel suo profondo e acuto senso della ricerca, senza mai farsi irretire da “ismi” lontani dalla vera cultura alla quale lei si è sempre e, penso, umilmente alimentata.
La lasciamo fra i tanti “volti” che affollano lo studio.
Compagnia che non le fa timore perché Marisa Settembrini i suoi personaggi li ritrae, ma prima li ama, pertanto diventano suoi amici, compagni di “strada”, ospiti del suo studio.
Chissà se qualche volta non si rivolga ad uno di loro e gli parla?
Antonio Carbè |
1988 |
 |
|
Chiaroscuri incisi in un sogno.
Gli alberi hanno chiome aggrovigliate, come matasse di segni serpentini. I visi femminili hanno la grazia dolce e distante delle apparizioni appena intraviste nei sogni, appena immaginate nelle fantasticherie. E’ alla durezza duttile e elastica di una calligrafia capace di suggerire spessori e terze dimensioni che si affidano le incisioni di Marisa Settembrini.
Una calligrafia secca e sinuosa che assicura alle cose, agli elementi della natura e ai volti e corpi delle persone una sicura riconoscibilità di lettura “classica, ma che non dimentica guizzi di leggerezza post-impressionistica.
Protagonista delle “carte” di Marisa Settembrini è sempre il disegno, lo scheletro formale, cioè, che sorregge la sostanza di ogni nostra visione: accanto e “dentro” questa struttura, il chiaro-scuro delle luci e delle ombre, il susseguirsi di sviluppi e di più allentate scioltezze, il gioco serrato tra realismo e fantasia, tra presa diretta e divagazione della memoria.
Elisabetta Muritti |
1987 |
 |
|
In questa pittrice pugliese di nascita, ma di formazione mitteleuropea, abbiamo un intrecciarsi di istanze culturali e pittoriche differenti.
E’ una ricomposizione mentale in cui si raggiunge un equilibrio fra fantasia e realtà, nel recupero pittorico di visioni infantili e ancestrali.
I colori della Settembrini esprimono una distanza calcolata e voluta: la liberazione dal sogno.
Hervé Cavallera |
1984 |
 |
|
La dimora vitale.
Marisa Settembrini recupera documenti, immagini ed emozioni di storia contadina che riporta in grafica. Le sue incisioni, fissate nei dettagli più concreti, scompaiono nel tempo bastante di un’immagine che sconfina nella natura, che cancella per un attimo la demarcazione tra uomo e ambiente contadino circostante.
L’elastica tessitura della tecnica, le particolari sfumature, un corposo realismo minuto si muovono attraverso una maggiore cristallinità per carpirne i segreti, le chiusure della memoria e dei simboli, i riti, le usanze della terra. Un’operazione mentale cerca il punto di rottura tra il vero e l’apparente, sicchè le grafiche della Settembrini, provocate da questa forma epico-lirica che sola può esaltare la temperatura della realtà, la carica fisica e sostanziale, sono una misteriosa duplicazione del mondo.
Carlo Franza |
1980 |
 |
|
La presenza di Marisa Settembrini nel cielo dell’arte italiana continua ad essere la presenza di una cometa.
La sua pittura non sfugge le battaglie e le influenze; mi sovvengono Mucchi e Bartolini, mi sovvengono le forme fluide, sensuali e ammirevoli, della materia pittorica.
Cose tutte da accarezzare, dove l’intima adesione allo spirito libero e inventivo della sua imagérie ha determinato paesaggi e figure intrecciate con toni armoniosi.
Nel lavoro della Settembrini c’è ancora di più: c’è l’intelligenza di chi, come lei, ha posato lo sguardo sui nodi e sugli incroci essenziali dell’immagine, determinando all’immagine pittorica la qualità della figura poetica.
Luigi Carluccio |
1979 |
 |
|
Chi ha seguito con aggiornamento l’attività di Marisa Settembrini, la sua accanita penetrazione dei problemi dell’arte, dal costume storico in genere alle ricerche sull’astratto e sul mezzogiorno d’Italia, non si sarà meravigliato nello scoprire in lei una inedita e autentica artista.
Marco Valsecchi
Una luce che nasce dall’intimo.
Marisa Settembrini è artista d’un castissimo isolamento spirituale. Le sue opere si compongono e si inquadrano nella leggerezza di una luce che nasce dall’intimo di ogni ritratto e personaggio: e l’atmosfera che ne deriva è tutta di qualità poetica, si che a questi dipinti si torna non per goderne le tinte e i toni, e l’impianto, ma per rivivere un sentimento che, attraverso la pittura, si stacca dalla pittura.
Pittura di toni portati a una semplice omogeneità rappresentativa, e preclusa alle “cadute” improvvise e ai forti approfondimenti spaziali. Una diffusa luce perlacea coordina i vari elementi compositivi e li riadduce su uno stesso piano: ed è questo un esercizio così esperto che meraviglia se si scopre in una pittrice esordiente, cui bisognerà guardare di più in futuro, per quel tanto di natura “vocazionale” che gli perviene dal suo essere artista; e più ancora perché sente questo bisogno di fuggire dalle tentazioni di maniera, per aprirsi a una visione pura delle cose, dove luce e colore restano la forma d’un sentimento che oltrepassa la storia, e rifiuta gli stili.
Carlo Franza |
1978 |
 |
|
La Settembrini tocca oggi, la fortuna di essere entrata nella forma viva della civiltà impressionistica, ossia ha compiuto una scelta rigorosa di fronte alla natura: nella larga trama orizzontale di pianura e di cielo ha tessuto scarsi elementi verticali, per esaltare al massimo il senso di luce e dello spazio.
Carlo Franza |
1975 |
 |
|
Più che una dimensione temporale, intesa senz’altro come strutturazione spazio-temporale e includente pertanto l’al di qua della nostra sensitività , la “Figura” della Settembrini conchiude in sé piuttosto una significante più profonda, la quale viene catalizzata quasi per intero dalle categorie metafisiche.
Tuttavia questo non vuol dire che la resa pittorica di questa artista sia esclusa a priori da un’indagine meno approssimativa, dal momento che l’apprezzamento di un’opera d’arte è direttamente proporzionale alla capacità di intenderne l’estremo significato.
In realtà, la “Figura” pittorica di questa artista, sulla tavolozza scorna e disadorna, si ricompone poi sotto la sferza di un’interiorità purissima, riflessa soprattutto nei tratti quasi accennati e negli occhi quasi sempre senza fondo, per sublimarsi infine più intensamente di quanto avvenga in un “passaggio di stato”.
Rocco Zinzi |
|
|
|
|
|